Mentre gli adulti bambineggiano


I bambini sono spesso diversi da come ce li immaginiamo o da come ci sembrano, diversi da come l'adulto pensa che siano. Vero è che soffriamo di stratificazione cronologica, di semplificazioni, di deformazione desiderativa anticipatoria e - nello stesso tempo - di indistinzione e di astrazione (infanzia è qualcosa che va da zero a poco meno di 18 anni, come nel range burocratico della nostra pediatria). Agli inizi del 900 c'è chi avrebbe dovuto aprirci gli occhi su una libido perversa e polimorfa e sulla sua primaria incarnazione. Alla fine del secolo ci fu poi quello dell'animale "che dunque sono” (non li nomino neanche tanto sono grandi) e noi niente. Continuiamo nel 2012 a spronarli a scrivere a Babbo Natale o, con variazione pure auspicata dal sindaco di Cosenza, a Gesù Bambino. Belle le gerarchie interne e le loro interrelazioni: per qualcuno il Boss è Gesù Bambino, anche se legato alla tradizione dei giocattoli in legno (lo capiamo: il padre era un artigiano, un dio di falegname). Qualcuno ci tiene a rimarcare "una cosa sola: mio padre fa lo stesso mestiere di quello di Gesù”. E ha detto tutto, mentre Babbo Natale è più mondano, la sua circolare veloce ha un propulsore con le renne, è più uptodate e tecnologico, a lui possiamo segnalare l'ultimo modello di playstation, eventualmente potrà suggerire a Gesù Bambino l'esercizio commerciale dove vendono queste diavolerie.


Ci attendiamo buoni sentimenti, lessico human contact, conformismi buonisti e loro - pronti - stanno al gioco: "voglio la pace nel mondo", "che non ci siano più guerre", etc. In apparente convergenza con le aspiranti Miss Italia, debitamente, smaccatamente istruite per non essere sussunte in un bel paio di cosce o di tette. Ma loro, i nostri bambini semplificati e inesistenti, sanno essere tremendi: "caro Babbo Natale, sai una cosa? quest'anno sono povero". Evidenza tanto sismica quanto semplice. Meglio di un trattato di sociologia politica. E quando irrompe la pre-occupazione per l'altro, al contrario delle aspiranti Miss, è sincera e lancinante. Caro Babbo Natale quest'anno porta un po' di soldi in più a mio padre, diversamente non sa come pagare le tasse. Oppure, quest'anno niente giocattoli, piuttosto porta un po' di lavoro. Ancora, sempre sulla disoccupazione: caro BN lo so bene che sei il frutto della mia immaginazione. PS: perché non mi prendi come tuo assistente? Come dire: non esisti ma verrei a lavorare volentieri con te. Cosa rimproverare a un ragionamento di tal fatta? L'assenza del principio di non-contraddizione? Meglio obiettarlo a Monti e Marchionne o a quel bugiardissimo giocherellone di Berlusconi. Oppure, e questa è lirica pura, "dai la voce al mio amico, sono certo che sarà bellissima". Oppure, è questa è lancinante, "tu che sei sempre in giro vedi se qualcuno può ridarmi la vista". Il tutto scritto con una stampante Braille e tradotto dalla sua bravissima insegnante di sostegno. Oppure, con somma mestizia, dai un bacio al mio papà che torna in Ucraina; fai in modo che i miei genitori non litighino più al mattino; che mio padre torni presto la sera (passo troppo tempo da solo); voglio un cane vero non di peluche (gli si può obiettare solo di aver sbagliato indirizzo: dovrebbe sollecitare la veterinaria responsabile del servizio randagismo, più che a Gesù Bambino). Fino a "voglio un orso vero". Pierfrancesco (uno scazzuoppolo di massimo 6 anni), manco fosse Mario Luzi o Giorgio Caproni, scandisce "bianco, tenero, elegante" . Vero ma buono, non cattivo né neutro. Per questo trovo più che ragionevole che l'assessore Machì abbia invitato a discuterne Francesco Garritano, autore di un lontano saggio “Sul neutro. Su Maurice Blanchot” (Ponte alle Grazie, 1994). Che se ne sa a sei anni del neutro, di una categoria così complessa? Pierfrancesco ha forse letto Jullien, il sinologo dell'insapore, o forse è stato in oriente, conosce la fenomenologia del semplice, ha letto Minkowski, Merleau-Ponty, Derrida, Nancy, Jean Oury? E invece noi bambineggiamo, usiamo interloquire con questi diversamente adulti utilizzando diminutivi e vezzeggiativi, moine e favolette (e magari continuiamo pure a votare Berlusconi, a invitare nei salotti televisivi quella maleducatissima Barbie al silicone che porta il cognome dell'ex-marito chirurgoplasta, oppure l'onorevole Hello Kitty e i nuovi modelli di Winx del pdl e a volte del pdmenoelle. Poi gli diciamo di scrivere a BN e loro ci gelano con un "Lo so che non esisti ma prendimi a lavorare con te". Senti, se esisti dammi il tuo numero di telefono così ti chiamo. Lo so che è da maleducati fare una lista ma - sai com'è - negli anni i desideri si sono accumulati. Guarda, ti faccio lo sconto, prima erano di più, ora sono solo 4. C'è anche la confusa e felice che "non so nemmeno io cosa voglio", chi vuole un sacco di giocattoli ma infine chiosa "ma tu portali a un bimbo povero, ché a me ci pensa mio padre" e chi semplicemente desidera che al nonno non tremino più le mani. C'è pure chi vorrebbe un giocattolo giallo. Non importa cosa, chissà perché importa che sia giallo. Mah!
Anch'io voglio un orso, vero, ma sufficientemente cattivo per metter fine ai luoghi comuni, alle frasi edificanti, ai buoni sentimenti fasulli. Questo libro però, come direbbe la Machì - è uno spasso supremo, perché ha saputo cambiare di segno e complicare la vita a quelle proiezioni, stereotipi e edulcorazioni che ci fanno supporre figli preadolescenti ancora timidi e impacciati, arrendevoli o comunque di limitata partecipazione alla socialità.  Un libro che testimonia di un mutamento antropologico in cui è legittimo desiderare un orso vero o perlomeno, come nella famosa barzelletta di Totonno Chiappetta, una bella sommetta per far la plastica a un coccodrillo. 
MC

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